Tema: Formazione

Innovare la formazione per formare l'innovazione

di Luciano Ballabio, Primiana Leonardini Pieri

1. Formazione, questa sconosciuta

Cosa si intende oggi per formazione? Secondo il senso comune, qualsiasi situazione didattica è assimilabile a un evento formativo. La formazione sarebbe quindi un grande contenitore all'interno del quale prenderebbero forma i più svariati tipi di esperienza: convegni, gruppi di lavoro guidati, dibattiti, lezioni scolastiche, presentazioni. Le pubbliche amministrazioni, nel corso di questi ultimi anni, stanno investendo sempre più risorse in questo grande contenitore. Ma stanno trascurando un aspetto assolutamente essenziale: per quale tipo di formazione stanno investendo? E per quale tipo di apprendimento?

La risposta è cruciale, poiché presuppone l'elaborazione e la pianificazione consapevole di elementi quali la concezione dei bisogni e degli obiettivi organizzativi, la concezione della persona e delle sue modalità di apprendimento, il ruolo del formatore, la definizione dei parametri di valutazione e la scelta dei metodi. Per ciascuno di questi elementi esistono numerose varianti, con effetti, in termini di apprendimento, decisamente diversi.

La tendenza attuale è quella di consegnarsi alla legittimazione delle Università, alle quali viene spesso affidata la progettazione e la conduzione delle iniziative formative nella convinzione che il valore scientifico delle conoscenze di cui le Università sono portatrici sia garanzia di lavoro ben fatto e di apprendimento.

In pratica si stanno trasferendo le lezioni universitarie negli uffici delle organizzazioni. Ma i dipendenti non sono studenti universitari e degli studenti non hanno né la motivazione né la forma mentis né le esigenze. Gli studenti universitari seguono i corsi per riprodurne i concetti in sede d'esame, mentre i dipendenti devono trovare il modo di trasferire immediatamente nelle proprie attività lavorative ciò che hanno appreso.

Lo scopo implicito di questi interventi in-formativi è quello di colmare, con pacchetti di conoscenze prestabilite e omologate, le supposte lacune dell'organizzazione e dei suoi membri.

Il formatore è un grande esperto di contenuti tecnico-specialistici scelti per un determinato corso, ma è una persona che poco o nulla sa dei processi di apprendimento degli adulti. Il formando è ancora sostanzialmente concepito come una scatola in cui poter inserire una mole prestabilita di nozioni. Come e quando utilizzare tali nozioni è una variabile che dipende da un sistema di fattori del tutto ignorato in sede di corso. In realtà la messa in opera dei concetti appresi dal partecipante dipenderà dalle sue competenze trasversali, che nessuno si è però preoccupato di individuare e sviluppare.

Questo sistema in-formativo si rivela quindi adatto ad interventi di aggiornamento tecnico-specialistico su materie pre-individuate, di cui è previsto e pianificato l'impiego immediato, ma i cui risultati (in termini di maturazione cognitiva e sviluppo di competenze trasversali: intelligenza emotiva, competenze relazionali, decision making, consapevolezza, pensiero complesso, pensiero flessibile, creatività) non sono minimamente controllabili. E pensare che esistono interventi formativi estremamente diversi!


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2. Innovare la formazione per formare l'innovazione

Cambiamenti veloci ed irreversibili (tecnologici, culturali, normativi, sociali) stanno investendo tutte le pubbliche Amministrazioni dall'esterno e dall'interno, imponendo alle persone capacità non comuni di adattamento e di interazione con l'ambiente.

Già oggi è possibile delineare gli scenari in cui si troverà ad agire il dipendente pubblico di domani. Sempre più al servizio del cittadino, coinvolto con lui in un rapporto paritario e trasparente. Sempre meno vincolato agli adempimenti formali.

Sempre più orientato al raggiungimento di obiettivi e quindi capace di definirli e di perseguirli. Garante della legittimità di decisioni prese in sedi anche sovranazionali. Valutato e valutatore di prestazioni. Titolare di responsabilità e gestore di informazioni.

Non potendo più godere dell'autoreferenzialità, che ha caratterizzato la sua storia professionale per tanti anni, dovrà dimostrare di non essere più il nullafacente menefreghista raccomandato tipico dell'immaginario collettivo più ostile, ma un professionista del servizio a supporto e garanzia dei diritti e delle libertà altrui.

Questi attributi saranno riconosciuti e condivisi dai cittadini/utenti/clienti se egli saprà entrare in sintonia con essi, comunicare con essi, tanto a livello individuale che organizzativo. Ma c'è di più.

Nella gestione dei servizi ci si affiderà anche a gestioni associate: accanto al nostro impiegato opereranno quindi persone di altri Enti ed altre realtà, impegnate sugli stessi obiettivi. E sarà allora necessario saper organizzare, saper creare sinergie fra strutture/culture diverse, saper decidere insieme, saper dare un'impronta manageriale al proprio operare quotidiano.

Diventa quindi urgente l'acquisizione di competenze che, se fino a ieri non erano essenziali, sono oggi decisive per affrontare il cambiamento.

L'ingresso in questo nuovo mondo, caratterizzato dall'evoluzione continua, non è indolore, specialmente in organizzazioni strutturalmente stabili come sono tuttora quelle degli Enti pubblici.

Ma il fattore decisivo su cui puntare per gestire l'innovazione e farne un trampolino di lancio per ulteriori evoluzioni è costituito proprio dal fattore umano, considerato non tanto come un raccoglitore di informazioni quanto come un organismo complesso capace di sviluppare nuovi equilibri col mondo esterno.

Eppure le competenze relazionali e trasversali (ascolto, intelligenza emotiva, capacità di lavorare in gruppo, di negoziare accordi, gestione della complessità, apprendimento, giudizio critico, assunzione di rischio, leadership, creatività) risultano tradizionalmente trascurate nelle organizzazioni pubbliche. Come mai?

Semplicemente perché non sono riconosciute o non sono ancora ritenute molto importanti nello svolgimento del proprio lavoro. Le incombenze quotidiane finiscono per avere sempre la priorità.

L'immediata conseguenza è costituita dall'assenza di una cultura manageriale cui i capi possano far riferimento per affrontare il senso di incertezza e frustrazione, proprio e delle proprie persone.

Basta chiedere a qualsiasi impiegato quali siano, secondo lui, le caratteristiche principali di un suo buon funzionario o dirigente, per sentirsi rispondere: l'affidabilità, la chiarezza, la franchezza, la capacità di mettersi sullo stesso piano dei suoi interlocutori e di non farti sentire solo, ecc. Ma tutti questi fattori sono molto più legati alle competenze trasversali che allo specifico bagaglio di conoscenze tecniche.

Valutare, correggere, sanzionare, decidere, motivare, lodare, criticare in modo costruttivo, sono tutte azioni legate al comando e chi comanda deve saper continuare a migliorare in queste aree della propria competenza per poter far bene il proprio lavoro.

Nelle organizzazioni ad elevata intensità di informazione e conoscenza, l'attenzione è e sarà sempre più rivolta al fattore umano. Sembra un'ovvietà, ma le scienze organizzative ne hanno preso piena consapevolezza solo di recente.

Nell'epoca attuale, caratterizzata da una crescente omologazione dei prodotti, ciò che fa la differenza è e sarà soltanto la qualità dei servizi. Ed essa dipende soprattutto da chi li produce: quindi dal fattore umano.

La formazione (chi la progetta, chi la eroga, chi ne stabilisce gli ambiti finanziabili e chi la commissiona) deve prendere atto di questa situazione e ricercare approcci, metodi e contenuti che mirino sempre più allo sviluppo delle competenze trasversali, comunicazionali, relazionali ed emozionali, delle persone.


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3. Formazione ed alfabetizzazione emozionale

Soprattutto dopo la pubblicazione di Intelligenza emotiva (1996) e di Lavorare con intelligenza emotiva (1998), i due più noti best seller di Daniel Goleman, l'area della competenza emozionale è stata posta al centro dell'attenzione nelle organizzazioni in generale, ma soprattutto in quelle più competitive. L'intelligenza emotiva arma del manager titolava ad esempio Il Sole-24 ore del 20 marzo 2000.

Le competenze che la cultura manageriale più evoluta considera strategiche sono oggi la capacità di riconoscere le emozioni da cui siamo guidati nei nostri comportamenti abituali, la capacità di trasformarle in modo reciprocamente vantaggioso, la capacità di motivare, coinvolgere, orientare verso obiettivi comuni, stimolando creatività, soluzione dei problemi e apprendimento continuo. Ciò che siamo in grado di apprendere infatti conta, e conterà, molto più di ciò che già sappiamo.

Ma il valore che ormai viene riconosciuto all'intelligenza emotiva è confermato anche dal fatto che, alla fine di gennaio del 2001, sia stata lanciata da un Governo, quello di Tony Blair, la prima Campagna contro l'analfabetismo emotivo, il cui obiettivo dichiarato è quello di creare una società emozionalmente alfabetizzata, nella quale la capacità di gestire la propria vita emotiva sia altrettanto importante della capacità di leggere, scrivere e far di conto.

La competenza emozionale è dunque la competenza trasversale per eccellenza. Essa è infatti costituita da un insieme di conoscenze, di abilità, di atteggiamenti e di comportamenti, assolutamente decisivo sia per chi svolge funzioni di elevata responsabilità in organizzazioni complesse, soggette a frequenti e rapidi cambiamenti, quali sono già oggi e saranno soprattutto domani anche gli Enti pubblici, sia per tutti coloro che, in unþforganizzazione così caratterizzata, svolgono funzioni di back-office e di front-office.

La nostra esperienza ci dice che la formazione di adeguate e diffuse competenze trasversali, comunicazionali ed emozionali, nelle persone che lavorano in organizzazioni complesse in generale e nell'Ente locale in particolare, non soltanto corrisponde ad un bisogno sempre più consapevolmente avvertito, ma è in grado di produrre risultati straordinariamente positivi.


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4. La formazione trasversale tra personale e professionale

Ma questa esperienza, condotta in decine di seminari (così denominati, perché in essi si ara, si semina e si raccoglie insieme), realizzati per Enti locali, ma anche per Aziende private, in Organizzazioni che producono servizi alla persona, ma anche in quelle che producono beni materiali, con la partecipazione di centinaia e centinaia di dirigenti, funzionari, operatori front-line, manager, tecnici, insegnanti, medici, infermieri, assistenti sociali, suggerisce, già per il presente e soprattutto per il futuro, di mettere a fuoco anche un secondo significato di trasversalità della formazione.

Se la competenza emozionale e' la competenza trasversale per eccellenza, il progressivo apprendimento di questa competenza può infatti essere reso tanto più efficace, profondo e radicato, quanto più la formazione destinata a un simile obiettivo è essa stessa trasversale e quindi coinvolge le persone nella loro globalità, al di là della tradizionale ed obsoleta separazione tra la dimensione personale e quella professionale dell'esperienza di ciascuno di noi.

Se chi lavora è messo nella condizione di padroneggiare le competenze necessarie a migliorare la gestione di tutte le proprie relazioni, non solo in ambito professionale, ma anche in ambito personale, ci‗ consente di avviare e rafforzare progressivamente in lui, in lei, una spirale virtuosa tra apprendimento, fiducia, auto-stima, attenzione, osservazione, ascolto, cura dei dettagli, gratificazione, soddisfazione, ulteriore apprendimento ed ulteriore miglioramento personale e professionale: senza limiti.

Parafrasando Domenico De Masi e le sue analisi, efficacemente sintetizzate nel libro Il futuro del lavoro (1995), invece di ostinarci ad insegnare alle persone a lavorare meglio, dovremmo forse cominciare ad apprendere insieme a loro a vivere meglio, ad utilizzare al meglio il proprio cosiddetto tempo libero, per avere ricadute positive anche sulle loro prestazioni e sui loro comportamenti professionali.

Ma una formazione che superi trasversalmente la frontiera che ha insistentemente separato professionale e personale, tempo di lavoro e tempo di non-lavoro, puntando al miglioramento della capacità di gestire, a trecentosessanta gradi, tutti i sentimenti e gli affetti, tutte le emozioni e le relazioni, interpersonali e organizzative, può essere proposta e realizzata con successo soltanto in forza di una metodologia integralmente interattiva.

Questa metodologia, che nell'arco di oltre un decennio abbiamo creato e progressivamente affinato con la decisiva collaborazione di tutti i partecipanti ai nostri seminari, è basata su un feed-back permanente e intensivo, la cui prima condizione è costituita dal fatto che chi conduce il processo formativo deve saper partire dall'esperienza di tutte le persone coinvolte (cominciando da sé medesimo) e tornare periodicamente ad essa, per arrivare a sperimentare le possibilità e i vantaggi di apprendere, cambiare, migliorare e quindi vincere insieme. Come ha detto uno dei partecipanti ad una nostra iniziativa di formazione trasversale, "questo seminario non mi cambierà la vita (personale e professionale), ma, grazie a questo seminario, io potrò cambiare la mia vita".

Ci auguriamo che sempre più spesso, anche negli Enti Locali, ci sia spazio per questo tipo di esperienze.


Ultimo aggiornamento: 17/11/05